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MUSICA E DOLORE

SCRIVE: DR SCARSELLA PAOLO
FOTO DI COPERTINA: PIXABAY.COM

La definizione ufficiale di “dolore” è quella che la IASP, International Association for the Study of Pain, descrive come “un’esperienza sensiti­va ed emotiva spiacevole, associata ad un ef­fettivo o potenziale danno tissutale.”

Questa definizione pone l’accento soprattutto sulla natura soggettiva della sensazione dolo­rosa.

Il dolore è sempre soggettivo. Ogni individuo apprende il significato di tale parola attraverso le esperienze fatte durante i primi anni di vita (un urto, una caduta, una ferita, il fuoco).

A differenza di altre sensazioni, poiché è un’e­sperienza spiacevole, alla componente fisica del dolore si accompagna anche una carica emotiva.

Il dolore può essere acuto o cronico, legato a patologie degenerative o a patologie neopla­stiche, ad esordio improvviso, come succede durante una colica renale o a seguito di un trauma, o graduale, come avviene invece nel­le persone che soffrono di artrosi, lombalgia o fibromialgia.

Le terapie, sempre successive ad una diagno­si, possono essere farmacologiche, chirurgi­che, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate.

Molte sono le terapie non farmacologiche che possono essere utili per il controllo del dolo­re: agopuntura, chiropratica, osteopatia, ipnosi medica, tecniche di rilassamento.

Tra queste ultime si sono rilevate utili il training autogeno, lo yoga e la musicoterapia.

In particolare, la musica come intervento te­rapeutico ènata nei primi anni del novecento degli Stati Uniti, ma ha avuto il suo maggiore sviluppo a partire dai primi anni ’50.

Inizialmente veniva usata nella cura del dolo­re causato da ferite, ma negli ultimi anni l’u­so della musica èaumentato, fino a diventare una crescente ed interessante terapia comple­mentare nei reparti ospedalieri di rianimazio­ne, terapia intensiva cardiologica, oncologia, pediatria, ginecologia, geriatria e nelle cure palliative.

Nonostante ci siano parecchi studi che atte­stano l’efficacia della musicoterapia sul dolo­re (soprattutto quello cronico), riducendolo, in alcuni casi annullandolo, e ritardando anche la sua eventuale ricomparsa, molti medici, sono ancora scettici sull’argomento, ritenendolo solo un placebo. Questo pregiudizio può es­sere sconfitto solo diffondendo le esperienze positive che invece vengono fatte quotidiana­mente nei reparti di Terapia del Dolore.

Nelle culture dell’antichità musica e medicina erano praticamente una cosa sola: lo sciama­no sapeva che la vita del cosmo e quindi an­che dell’uomo, è scandita dal ritmo e pertanto la musica rappresentava un mezzo per curare le malattie.

Per Platone il mondo si poggiava su principi musicali, la musica era la più nobile delle arti indispensabile per raggiungere la formazione di un carattere equilibrato, migliorando la cal­ma interiore e liberando l’individuo da tutte le tensioni psichiche.

Anche per Aristotele ascoltando suoni rilas­santi era possibile trovare la pace interiore.

Per Pitagora la musica era in grado di cambia­re l’individuo nel profondo e di liberare l’anima. Calcolò inoltre una scala musicale, cioè gli in­tervalli tra le frequenze delle note, impiegata fino al Medioevo.

Nel Medioevo i depositari della musicoterapia furono i monaci delle abbazie, che assegnaro­no al canto gregoriano una particolare effica­cia contro tensioni e disturbi psichici.

A dare un carattere di studio sistematico alla materia fu l’Illuminismo del Settecento, quan­do si cominciò a studiare le vibrazioni che si creano nel corpo umano all’ascolto della mu­sica.

Verso la fine dell’Ottocento la musicoterapia cominciò a gettare le sue basi non più empi­riche o rituali e religiose, ma scientifiche, cioè fondate su esperienze cliniche

Se poi allarghiamo gli orizzonti e spaziamo dall’Australia (musica degli aborigeni), alla Cina (corrispondenza tra i cinque elementi Terra, Fuoco, Acqua, Legno e Metallo e suoni energetici), al Tibet (uso delle campane tibe­tane), agli Indiani d’America (la musica della Madre Terra) non possiamo non constatare l’importanza della musica in tutte le culture dell’Uomo, nello spazio e nel tempo.

Attualmente la World Federation of Music The­rapy (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ha dato nel 1996 la seguente definizione: “La Musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e ar­monia) da parte di un musicoterapeuta qualifica­to, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la rela­zione, l’apprendimento, la motricità, l’espressio­ne, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi tera­peutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive.

La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l’integrazio­ne intra- e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico.”

E’ poi attuale una disputa sull’accordatura degli strumenti musicali. Molti sono i sostenitori del­la cosidetta accordatura aurea (il LA a 432 Hz): dai Pink Floyd a Mick Jagger, cantante dei Rol­ling Stones a livello internazionale, mentre in Ita­lia da Pavarotti a Rino Capitanata (co-autore de “Il potere curativo della musica” vol. 1 e vol.2).

Fino al XVII secolo l’intonazione degli strumenti musicali variava molto da paese a paese, a se­conda dell’uso che se ne faceva e della scuola di appartenenza dei musicisti. Il LA centrale variava quindi da 370 fino 560 hertz. Nel 1884, il governo italiano emise un decreto per la normalizzazione del diapason a 432 vibrazioni per secondo, nor­malizzazione richiesta da Giuseppe Verdi e altri musicisti italiani riuniti al congresso di Milano nel 1881. In una lettera alla commissione musicale del Governo, riportata nel decreto, Verdi scrisse:

”Fin da quando venne adottato in Francia il diapason normale, io consigliai venisse seguito l›esempio anche da noi; e domandai formalmente alle orchestre di diverse città d›Italia, fra le altre a quella della Scala, di abbassare il corista uniformandosi al normale francese. Se la Commissione musicale istituita dal nostro Governo crede, per esigenze matematiche, di ridurre le 435 vibrazioni del corista francese in 432, la differenza è così piccola, quasi impercettibile all’o­recchio, ch’io aderisco di buon grado. Sarebbe grave, gravissimo errore adot­tare, come viene da Roma proposto, un diapason di 450. Io pure sono d’opinio­ne con lei che l’abbassamento del cori­sta non toglie nulla alla sonorità ed al brio dell’esecuzione; ma dà al contrario qualche cosa di più nobile, di più pieno e maestoso che non potrebbero dare gli strilli di un corista troppo acuto. Per par­te mia vorrei che un solo corista venis­se adottato in tutto il mondo musicale. La lingua musicale è universale: perché dunque la nota che ha nome la a Parigi o a Milano dovrebbe diventare un si be­molle a Roma?”

Alcuni sostengono poi che la musica a 432Hz essendo accordata sulle frequenze dei processi biochimici del nostro corpo, attiva il processo di guarigione: possiamo definirla un “curativa“. Le onde sonore, infatti, modificando le caratteristi­che corporee quali la respirazione, il battito del cuore, la sudorazione, le onde cerebrali e la rispo­sta neuro-endocrina, stimolano l’equilibrio ed il rilassamento della mente e del corpo.

Scriveva Carl Gustav Jung, psichiatra e psicoa­nalista svizzero, “la musica non proviene dalla parte cosciente dell’anima e non si indirizza al cosciente, ma la sua forza emerge dall’inconscio e agisce sull’incoscio”.

Pertanto, poiché la musica è presente nella vita di ogni giorno, da quando cantiamo sotto la doccia al mattino, fino alle colonne sonore dei momen­ti più romantici, ricordiamoci che non sono “solo canzonette”!

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