DI DOMENICO VETRÒ
Iniziò a strillare al telefono. L’intera redazione si fermò a guardare oltre la parete a vetri dello studio del caporedattore per capire cosa stesse succedendo. Nonostante la voce giungesse a noi ovattata era abbastanza facile distinguere le parole e allo stesso tempo comprendere a chi fossero rivolte quelle grida che avevano attratto la nostra attenzione. Il colore del viso aveva assunto un rosso paonazzo e le vene del collo si erano gonfiate al punto che si dovette slacciare la cravatta per non rischiare di rimanere soffocato, giunse al punto che per amplificare la sua voce si alzò dalla sedia della sua scrivania e con il pugno colpiva ripetutamente il legno del tavolo.
“Voglio sapere dove cazzo è l’articolo” gridava. “Sono otto giorni che dovresti essere qui con un articolo sui successi mietuti da quegli imprenditori americani che hanno fatto una fortuna grazie all’avvento di internet.” Impugnò un pezzo di carta, lo guardò e poi lo accartocciò tra le sue mani con una semplice mossa. “Mi hai mandato solo appunti e… e questo cazzo di progetto che non capisco. Si può sapere cosa diamine stai combinando?”.
La segretaria, che era ancora più curiosa di noi, accese l’interfono, facendo a tutti noi l’occhialino permettendo d’ascoltare la conversazione. La voce di Vittorio dall’altra parte dal telefono era nitida e sembrava essere molto più pacata di quella del nostro capo, nonostante l’affanno e al brusio costante e rumoroso che può produrre una megalopoli.
“Le persone che mi hai mandato a intervistare” disse “hanno fondato o occupano posizioni di rilievo in aziende come Twitter, Google, eBay e altre ancora, senza tralasciare che una di loro è stata colonna portante dello staff presidenziale di Obama. Questi personaggi però raccontano con entusiasmo un periodo che hanno condiviso insieme e che li ha visti fallire miseramente. E’ lo stesso identico fallimento e li accomuna tutti.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi urlò più forte di prima al punto tale che la voce che rimbalzava dall’interfono fece tremare i vetri. “Ti ho mandato a conoscere il segreto del loro successo, non il fallimento collettivo. I nostri lettori cercano ispirazione da queste grandi menti. Non interessano a nessuno i fallimenti!”.
Capimmo che Vittorio si era fermato e dal tono serio che assunse forse cercava concentrazione per ciò che voleva dire:”Se tu, per un solo istante, mettessi da parte quella testa vuota che ti ritrovi capiresti che quel progetto e il può grande successo planetario degli ultimi decenni. E’ un disegno del 1990, cazzo! Fammi scrivere questa storia o non scrivo niente. I nostri lettori devono conoscere la verità, non spetta a noi giudicare i fatti. Vogliono leggere di grandi trionfi? Bene, allora dovranno essere disposti a capire che sono i fallimenti a far arrivare una persona a quei livelli. Io sono come quegli uomini visionari di quelle interviste, come Marc Porat e il suo team della General Magic. Tutto o niente!”e concluse la telefonata minacciando di lasciare il giornale.
Nel silenzio che si era venuto a crearsi in redazione nessuno riuscì a fare indifferente. Il caporedattore iniziò a camminare su e giù per il suo ufficio non curandosi degli sguardi curiosi provenienti dall’esterno. Afferrò di nuovo la cornetta del telefono e ordinò alla segretaria di contattare Marc Porat per un’intervista, di comunicarlo a Vittorio e di predisporre una speciale rubrica intitolata A MAGIC IDEA.
“Tutto o niente!!” disse attaccando il telefono e guardando nella nostra direzione, facendoci cenno di rimetterci tutti a lavoro.