A CURA DI: DAVIDE MINDO
PHOTO: IRENEVISCHI, SCORPIONI D`ARDUINO
Martedì grasso, ore 22:00 circa. Una donna elegantemente vestita di bianco su un elegante cocchio dorato è in piedi e nella mano destra impugna una spada scintillante. Lo sforzo è tanto, ma l’emozione che le si legge negli occhi ancor di più. Non può cedere alla stanchezza. Deve resistere. Lo deve fare per lei e per tutte le migliaia di persone che gremiscono la centralissima piazza di città. I suoi occhi guardano le fiamme che avvolgono l’ alto palo avvolto di arbusti (ginepro ed erica) situato al centro della piazza. La punta della spada deve rimanere sollevata sino a quando la bandierina apposta sulla sommità del palo non verrà completamente bruciata. La banda cittadina suona a ripetizione l’Inno del Carnevale, come fa pressoché da diversi giorni, cosi come fanno i Pifferi e Tamburi, che con le loro specifiche pifferate sono la colonna sonora indiscussa della manifestazione.
Siamo nella stessa piazza del centro storico, quella del municipio, sulla quale appena tre giorni prima, non ancora pervasa dal profumo di arance, il sabato sera alle ore 21 in punto, si era affacciata per la prima volta nelle vesti di Violetta, la Mugnaia, e la folla festante l’aveva omaggiata con l’affetto che si riserva alle celebrità. Questo è “l’abbruciamento dello scarlo”, uno degli atti conclusivi dello Storico Carnevale di Ivrea ma è anche il più antico, infatti trova le sue origini in un rituale pagano propiziatorio che svolgeva l’antica popolazione celtica dei Salassi, gli unici abitanti in quel territorio prima della conquista da parte delle gloriose legioni romane. Di li a poco tutta la massa di persone seguirà i pifferi e lo stato maggiore in un altro rione, il Borghetto, l’unico sulla riva destra della Dora Baltea, il fiume che attraversa la città, e qui, una volta bruciato l’ultimo scarlo, quello della Parrocchia di San Grato, il corteo a passo lento e struggente cadenzato dalle note tristi della pifferata denominata “marcia funebre”, con i cavalli al morso e le sciabole che strisciano sui cubetti di porfido percorrerà le vie del centro fino alla bellissima ed ampia Piazza Ottinetti, ove dopo aver suonato anche qui una specifica melodia si canterà tutti insieme la Canzone del Carnevale scambiandosi in dialetto il tradizionale “Arvédze a giòbia ‘n bot”. E che non vuol dire altro che “Arrivederci a Giovedi alle ore 13” intendendo il giovedì grasso del prossimo anno, in cui si tornerà nuovamente nel vivo della festa.
Una festa quella del Carnevale più che mai particolare ad Ivrea, unica nel suo genere e difficile da descrivere brevemente in quanto costellata di appuntamenti e caratterizzata dalla presenza di una moltitudine di possibilità di vivere sotto diverse prospettive la stessa manifestazione.
E’ un qualcosa di Storico e che fa parte della tradizione e della vita cittadina, perché pur non trattandosi di una semplice rievocazione, dal 1808 tutto ciò che accade nel contesto del carnevale, da quando si apre ufficialmente il 6 gennaio con le prime pifferate del Gruppo Pifferi e Tamburi sino alla riconsegna dei poteri da parte del Generale nella tarda serata del Martedì Grasso, viene meticolosamente annotato in an apposito Libro dei Verbali custodito attentamente dal Decano dei notai data la forte valenza storica ed istituzionale.
La manifestazione apparentemente è un accozzaglia di epoche di riferimento, con personaggi di derivazione Napoleonica come il Generale, il Sostituto Gran Cancelliere e lo Stato Maggiore, insieme a quelli prenapoleonici degli Abbà , piccoli rappresentanti rionali che nel 700 venivano elevati al ruolo di ‘capi della festa ’ ed identificabili per l’avere una picca con infilzata una pagnotta, ai quali si affiancano le figure medievali del Podestà ed il seguito dei cavalieri Credendari, una sorta di consiglieri comunali del 1300 tutti quanti pronti a prostrarsi a colei che scortata da un drappello di armigeri ottocenteschi della Repubblica Cisalpina, costituisce il principale personaggio dell’intera manifestazione: la Vezzosa Mugnaia. Un ambito personaggio femminile, dai forti connotati risorgimentali (si pensi al vestito con i colori della bandiera italiana) e che trova ispirazione in una falsa leggenda medievale basata sullo Ius Primae Noctis, legge mai esistita in base alla quale un sanguinoso tiranno avrebbe preteso di passare la prima notte di nozze con la giovane sposa sostituendosi così al marito, ma la coraggiosa Violetta, figlia di un mugnaio, lo avrebbe ucciso tagliandogli la testa con un pugnale ed una volta mostrato al popolo affamato la testa della carogna ne avrebbe avviato la rivolta, rivolta che vorrebbe essere attualmente rappresentata dalla battaglia delle arance. Si perché ad Ivrea, a Carnevale si lanciano le arance anziché coriandoli. E’ bene specificare sin da subito che si tratta di arance che sarebbero destinate al macero e che una volta utilizzate a scopi carnevaleschi, vengono opportunamente utilizzate per produrre fertilizzanti. La battaglia che ha iniziato a caratterizzare fortemente il carnevale a partire dal secondo dopo guerra in poi è l’evoluzione in forma giocosamente più bellicosa di quell’usanza del 1700/1800 che vedeva sfilare nei giorni di carnevale i cocchi trainati dai cavalli per le vie della città e le ragazze erano solite donare con un “gentile getto” le arance ai ragazzi che assistevano al corteggio come gesto di augurio a sottolineate il momento comunitario della festa.
E allora perché tutte quelle lacrime, quelle emozioni, quel divertimento, quella trepidante attesa di dare inizio alle celebrazioni del carnevale che è caratteristico degli abitanti di quel territorio? Perché sembra proprio essere stato stampigliato nella notte dei tempi a caratteri cubitali nel DNA di questi italiani che abitano al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta, che dal 6 gennaio fino a 40 giorni prima della Pasqua Cattolica, quel periodo dell’anno li veda vivere e agire in funzione della festa, una moltitudine di eventi, occasioni di incontro, di sentirsi parte integrante e attiva di uno spiccato spirito identitario. E’ un euforia collettiva, un innamoramento naturale per le proprie tradizioni, senza possibilità di non sentirsi partecipi e parte integrante della vita cittadina.
Il carnevale di Ivrea oggi è conosciuto in tutto il mondo per la spettacolarità della battaglia delle arance, e negli anni 60 e 70 si tiravano addirittura le arance dai balconi delle case, mentre da diverso tempo oramai la lotta viene disputata esclusivamente in aree ben delimitate e dotate di protezioni per il pubblico. Una dozzina di uomini a bordo dei “Carri da getto” trainati dai cavalli attraversano la piazza in cui vengono assaliti a colpi di agrumi dalle squadre di tiratori a piedi. Dislocate nelle 5 piazze di tiro, ognuna delle attuali 9 squadre ha una propria storia ed una propria filosofia nell’intendere il Carnevale, al momento delle loro costituzioni i nomi, i colori e gli stemmi sono stati scelti in base a motivazioni ben precise.
Con lo scorpione di colore nero, simbolo della città di Ivrea, sulle casacche giallo verdi che richiamano i colori della parrocchia di San Salvatore, da oltre cinquant’anni sono i tratti distintivi degli Scorpioni d’Arduino, squadra di tiratori che nel nome vede il riferimento a quel personaggio storicamente esistito, Arduino appunto, che nell’anno 1000 venne proclamato Re del Regno Italico e riuscì a tener testa per diverso tempo all’imperatore germanico Enrico II, prima di capitolare perché soverchiato in termini di uomini e mezzi.
La città, grazie all’intraprendenza delle squadre a piedi, con l’avvicinarsi della festa, diviene un tripudio di colori grazie all’imbandieramento imponente, che è motivo di vanto ed orgoglio per ciascuna formazione. E’ come se si preparasse la città a vestire l’abito delle grandi occasioni, quello più importante e che non si vede l ora di poter indossare per ben figurare agli occhi di tutti: nel giro di una settimana svariati km di stoffa vengono appesi ovunque ed è bello vedere come l’impatto visivo permetta di sentire nell’aria ancor di più quel sapore della festa, che accede l’animo degli eporediesi. Strade, viottoli, piazze e palazzi cambiano letteralmente volto e sono l’evidenza che ci si sta apprestando a vivere un nuovo tripudio di emozioni e suggestioni chiamato Carnevale.
Gli abitanti di Ivrea, si chiamano Eporediesi in virtù del nome del nome della colonia romana “Eporedia”, stazione di cambio per cavalli e proprio questi ultimi ancora oggi rivestono un ruolo importantissimo ed elegante all’interno della manifestazione. Centinaia di cavalli sfilano per le vie cittadine, parecchi nel contesto del corteo storico, ma ancor di più per trainare con pariglie e quadriglie i carri da getto della battaglia delle arance, vere e proprie opere artistiche in movimento grazie alle magnifiche serigrafie. Nell’attraversare le piazze di tiro, gremite all’inverosimile, emerge tutta la bravura dei conducenti che sono una delle molte eccellenze del territorio.
Insomma, per quanto si possa descrivere a parole ciò che accade ad Ivrea nei giorni di carnevale, non c’è miglior modo che provare a viverlo sulla propria pelle, con l’ottica di non limitarsi all’aspetto superficiale, per quanto possa essere spettacolare e goliardico, ma cercando di apprezzarne l’aspetto che identifica un intera comunità, che condivide lo spirito dell’ irrinunciabile festa all’insegna di quello che solo le guerre mondiali e la morte dell’imprenditore Adriano Olivetti, oltre a questa dannata pandemia, sino ad oggi sono riusciti ad impedirne lo svolgimento: vivere intensamente in allegria con senso di appartenenza preservando i propri valori identitari. Quest’anno, a causa del Covid il Carnevale non si è svolto, ma non appena si potrà, dalle parti di Ivrea faranno di tutto affinché possano riprendersi con gli interessi quello che è stato sottratto loro da un virus…e lo faranno con vigore e ancor maggior carica: non è una promessa, è una carnevalesca minaccia!!